Per discorsi memorabili mai prendere la parola su argomenti che non amiamo.

Perla di Vittorio Galgano 

CI VUOLE CUORE

Proprio così! Non vi sono tecniche o artifici che possano contraddire questa affermazione. Pertanto non dovremmo mai prendere la parola su argomenti che non ci sono congeniali: che non ci stanno a cuore! Cuore, inteso come sede dei valori, dei sentimenti, del coraggio e delle passioni.
Lo stesso Cicerone diceva di essere mosso, nel far avanzare le proprie argomentazioni, da una bruciante passione, contagiosamente incendiaria, che si propagava tra coloro che lo ascoltavano. Fu da questa passione, più che dalla conoscenza di ogni segreto della RETORICA, che trasse le risorse per diventare il più grande oratore della latinità.
Avrebbe mai potuto Raimond de Sèze pronunciare la sua mirabile difesa di Luigi XVI, in modo così illuminato, ma soprattutto così ardito senza avere nel cuore un profondo senso di giustizia? Questo avvocato, in un periodo storico in cui domina il terrore e le teste cadono numerose sotto la lama della ghigliottina, difende Luigi XVI con un’arringa che può essere definita la più nobile, illuminata e coraggiosa della Storia. Raimond de Sèze è un personaggio storico, purtroppo poco conosciuto, degno della più profonda ammirazione. A rischio della propria vita, mette la sua mente, ma soprattutto il suo cuore al servizio di un ideale che dovrebbe appartenere a tutta l’umanità: la giustizia! E difende il Re di Francia, processato con un’iniqua procedura, con delle argomentazioni perfette sotto il profilo legale, ma soprattutto con un coraggio da leone.

 

Ecco parte dell’arringa svolta il 26 dicembre 1792.

“Cittadini rappresentanti della nazione! E’ giunto finalmente il momento che consente a Luigi, accusato in nome del popolo francese, di levare la propria voce in mezzo a questo popolo stesso. È giunta l’ora in cui egli, assistito dai difensori che l’umanità e la legge gli hanno concesso, può presentare alla nazione le sue discolpe e spiegare quali intenzioni lo abbiano sempre animato. Già questo silenzio che mi circonda mi fa certo che il giorno della giustizia è succeduto ai giorni della collera e della prevenzione. Che questo atto solenne non si riduce ad una vana forma; che il tempio della libertà è anche quello dell’imparzialità; che qualunque uomo si trovi nell’umiliante condizione di accusato, è sempre sicuro di richiamare su di sé l’attenzione e l’interesse di quelli che lo perseguono. Ho detto: qualunque uomo, perché Luigi oggi non è altro che un uomo, un uomo accusato.

 

INVIOLABILITÀ SOVRANA

Non gode più di nessun prestigio; non ha più nessun potere; non può incutere paura; non può offrire speranze. Gli è stato tolto tutto, anche la prerogativa dell’inviolabilità che spetta al sovrano.

Ma se togliete a Luigi l’inviolabilità sovrana, dovreste almeno lasciargli i diritti del cittadino. Perché non potete fare in modo che Luigi cessi di essere Re quando dichiarate di volerlo giudicare e lo ridiventi quando si tratta di giudicarlo! Ora, se volete giudicare Luigi come cittadino, io vi domando: dove sono quelle forme procedurali che chiunque ha il diritto imprescrittibile di reclamare? Dov’è quella separazione di poteri senza la quale non può esistere né costituzione né libertà? Dove sono i magistrati inquirenti e quelli giudicanti: questa specie di ostaggi che la legge dà ai cittadini per garanzia della loro sicurezza e della loro innocenza? Dov’è quella facoltà di ricusazione che la legge ha sancito per impedire nei giudizi il sopravvento dell’odio e delle passioni? Dov’è quella proporzione di voti che la legge ha così saggiamente stabilito per allontanare la condanna o per alleviarla? Dov’è lo scrutinio silenzioso che induce i giudici a raccogliersi prima di pronunciarsi o di rinchiudere, per così dire, nella medesima urna la propria opinione o la testimonianza della propria coscienza? Dove sono in definitiva tutte quelle precauzioni quasi religiose che il giurista ha preso affinché il cittadino, anche se reo, sia colpito solo dalla legge? Cittadini, vi parlerò con la franchezza dell’uomo libero: io cerco tra voi dei giudici, ma non vedo che degli accusatori! Volete decidere della sorte di Luigi, e voi stessi l’avete accusato! Volete decidere della sorte di Luigi, e avete già emesso il vostro verdetto! Volete decidere della sorte di Luigi, e la vostra opinione corre già per l’Europa! Luigi sarà dunque il solo francese per il quale non esisterà né legge né procedura! Luigi non avrà né i diritti del cittadino né le prerogative del Re! Quale strano ed inconcepibile destino!”

 LA CONDANNA

Come sappiamo il Re fu condannato poiché il suo destino era già stato deciso, in uno scenario di terrore, dai deputati più importanti e sanguinari. Questa situazione avrebbe intimorito e scoraggiato chiunque, ma non Raimond de Sèze che, come abbiamo letto, ebbe addirittura il coraggio di accusare i giudici e tutta l’impalcatura del processo. Luigi XVI fu riconosciuto colpevole soltanto per il clima minaccioso in cui si svolsero le votazioni. L’incarico di leggere la sentenza di condanna a morte fu dato a Dominique Garat. Compito che questo deputato avrebbe volentieri respinto. Dopo aver indugiato nell’inforcare un paio di occhiali montati in oro, lesse la sentenza con imbarazzo e quasi con vergogna. Si racconta che, tornato a casa, depose gli occhiali in un cassetto e vietò a tutti di toccarli. Un prete, anni dopo, trovandoli per caso decise d’inforcarli per leggere il breviario. Garat, nel vederlo lanciò un urlo straziante: – Gli occhiali della sentenza, no! – Poi cadde a terra fulminato.

 

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