Seguire le 10 regole di Vittorio Galgano per parlare in pubblico è anche un valido contributo all’efficienza.

 

pubblicato su L’EDITORIALE | articolo di Vittorio Galgano |

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Nella società attuale, dove la COMUNICAZIONE è assurta a forza che genera e sviluppa qualsiasi attività, saper svolgere una relazione chiara ed efficace, far fronte ad un’intervista, acquisire fiducia e credibilità per le proprie idee, non solo è un mezzo di affermazione personale, ma è soprattutto un valido contributo all’efficienza.

 

Infatti, in qualsiasi organismo sociale un’elevata qualità di COMUNICAZIONE influenza il livello dell’efficienza operativa: nella scuola, in azienda e in qualsiasi altra istituzione.

 

Spesso mi è stato chiesto: “Qual è la peggior nemica della COMUNICAZIONE?” Ho sempre risposto: “La monotonia, perché chi si annoia non ascolta”.

 

Purtroppo la monotonia domina spesso come incontrastata regina nell’insegnamento scolastico, universitario e in molte attività aziendali d’informazione, istruzione, FORMAZIONE e aggiornamento. Questa regina ha per la società un costo impossibile da calcolare, ma sicuramente immenso.
A “LEI” si deve imputare buona parte dell’assenteismo mentale di tante scolaresche ed uditori. Assenteismo che comporta sprechi di tempo e di denaro.

 

Molti si difendono con queste affermazioni: “Il mio argomento non è tra i più interessanti.” “È proprio la materia ad essere pesante.” Non esistono argomenti o materie noiose, ma solo relatori monotoni.

 

Approfondite ricerche, svolte da studiosi americani, hanno messo in luce che una conferenza di tipo tradizionale, della durata di dieci minuti, viene assimilata al 50% e che, dopo 48 ore, questa percentuale si riduce al 25%. Questo risultato poco entusiasmante si riferisce, come abbiamo detto, ad una conferenza di tipo tradizionale.

 

Ma cosa è una conferenza di tipo tradizionale?
Una conferenza è di tipo tradizionale quando chi la svolge, conoscendo poco gli aspetti tecnici e psicologici della COMUNICAZIONE, commette diversi errori, due dei quali molto comuni, che pregiudicano in partenza l’efficacia del discorso:

  1. l’ORATORE parla con a fianco altre persone e/o con alle spalle insegne, slogan ed esposizioni di prodotti. Poiché la maggior parte (l’87%) delle distrazioni dipende dagli stimoli visivi, tutto questo è completamente sbagliato.
    L’ORATORE deve essere in una posizione isolata per concentrare su di sé tutta l’attenzione del PUBBLICO.
    Ci sono situazioni in cui rispettare questo principio non è possibile, ma appena si può, bisogna farlo senza esitazione.
  2. consegna di relazioni o documentazioni prima dell’inizio dell’intervento dell’oratore. Buona parte del PUBBLICO, invece di seguire il suo discorso, si mette a sfogliare e a leggere il materiale ricevuto.

 

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Fatta questa premessa doverosa, ecco le dieci regole che consentono di migliorare l’efficacia del DISCORSO.

 

Prima regola: tra una parola difficile e una facile, preferire la seconda poiché è comprensibile a tutti.
Tra un verbo e un sostantivo, privilegiare il primo. I verbi sono le parole più vigorose. Pertanto, invece di: “Fare ginnastica ha influenze positive sul morale”. È meglio dire: “Fare ginnastica influenza positivamente il morale”. Scegliere sempre la forma attiva. Tra queste due frasi la seconda è migliore: “L’assistenza dei nostri tecnici è usufruita gratuitamente dai clienti”. – “I clienti usufruiscono gratuitamente dell’assistenza dei nostri tecnici”.

 

Seconda regola: utilizzare frasi brevi.
I concetti esposti con poche parole sono più diretti, chiari e memorizzabili. Un noto detto inglese dice in modo umoristico: “Chi usa cinque parole per un concetto che si può esprimere in quattro è capace di qualsiasi scelleratezza.” Le frasi sono brevi quando sono composte da circa 18/20 parole.

 

Terza regola: Scegliere espressioni non colpevolizzanti, ma liete. Al posto di: “Rimandando ne ritarderete i benefici” – Molto meglio: “Decidendo adesso ne godrete subito i benefici”.

 

Quarta regola: disporre correttamente le parole.
Questo sembra ovvio, ma spesso capita di sentire espressioni ridicole di questo genere: “Questa razza canina mangia di tutto e adora i bambini.” Ascoltando questa frase qualcuno potrebbe intendere che i bambini sono la pietanza favorita di quella razza di cani. Meglio: “Questa razza canina adora i bambini e mangia di tutto.”

 

Quinta regola: guardare, di volta in volta, con regolarità ogni parte del PUBBLICO. Evitare di dare l’impressione, con lo sguardo, di rivolgersi a poche o addirittura ad una sola persona.

 

Sesta regola: attenzione ai doppi sensi, se non sono fatti apposta. Un dirigente, durante una riunione aziendale disse: “Se oggi possiamo contare su un servizio assistenza di livello così elevato lo dobbiamo alla Dottoressa Scarletti che si è fatta, con un programma di FORMAZIONE di due anni, tutti i tecnici del nostro servizio”. L’ilarità si fece generale e la Dottoressa Scarletti diventò rossa come un ravanello.

 

Settima regola: usare analogie per rendere più concreta un’idea. Cicerone diceva che le similitudini sono i lumi dell’ORAZIONE.
Evitare però le analogie che potrebbero essere offensive per qualcuno. Espressioni del tipo: ignorante come un contadino, come un tacchino o come un camionista non troveranno una gradita e simpatica accoglienza da parte dei componenti di queste categorie o dei loro familiari. Ignorante come un asino è una similitudine, anche se trita e ritrita, più precisa e diplomatica delle prime; l’asino, infatti, è assurto a simbolo di notevole ignoranza e testardaggine e non è nelle condizioni di poter avere dei risentimenti ed avanzare delle proteste.
Per quanto riguarda la forza dell’analogia, ve ne faccio un esempio sublime. Il frate cappuccino missionario Guglielmo Massaia (1809/1889) per spiegare il Mistero della Trinità ad una tribù africana ricorse ad una similitudine con il sole. Disse: “Il sole è lassù nel cielo, lo vedi è una palla di fuoco; ma non lo puoi toccare; però viene a te la sua luce, e illumina tutte le cose in terra; e ti viene il suo calore che ti scalda e anche arrostisce e fa nascere e seccare le piante. Il SOLE, LA SUA LUCE, IL SUO CALORE SONO TRE, ED È UNO!” – Si può fare di meglio?

 

Ottava regola: nel COMUNICARE è bene, a meno di farlo di proposito, astenersi dal fare accenni, commenti, raccontare episodi o storielle su ceti sociali, gruppi razziali o credenze religiose, per non urtare la sensibilità di alcuni ascoltatori.

 

Nona regola: sopprimere le frasi indisponenti.
Sono tutte quelle con le quali l’oratore tende a mettersi in una posizione di netta superiorità. – “Per farvi capire meglio”. Invece di: “Per rafforzare la chiarezza di questo concetto”.

 

Decima regola: eliminare i segnali di chiusura.
Gli ORATORI rovinano spesso l’effetto finale del proprio discorso con un errore piuttosto comune: il preavviso di conclusione.
Tecnica che addirittura viene consigliata da sedicenti esperti di COMUNICAZIONE. Nulla di più sbagliato! Il preavviso di conclusione si realizza tramite l’uso malaccorto di questo tipo di frasi: -“Ancora poche parole e poi concludo”. – “Per concludere dirò…” – “Un’ultima riflessione e poi finisco”. – “Ora, prima di sedermi, brevemente vi comunico…”.
Tutto il PUBBLICO accoglie con sollievo questi segnali, perché spesso si tratta di ORATORI logorroici e noiosi. I muscoli delle cosce si tendono e le natiche degli astanti, a questi preavvisi, sfiorano ormai la superficie delle poltrone e tendono ad elevarsi sempre più: “Bene andrò a fumarmi una sigaretta”. “Prenderò un caffè”. “Grazie al cielo, la tortura é finita!” – si dicono gli ascoltatori.
Ma questi poveri ignari, non conoscono appieno le notevoli, logorroiche, sadiche capacità di tortura di tali ORATORI. Infatti, le brevi parole di conclusione, i pensieri finali di costoro non hanno mai termine. E spesso é un giochetto crudele che ripetono più volte. Come non essere odiati dal PUBBLICO? La conclusione deve essere breve e inaspettata. E quando l’ORATORE è veramente bravo l’uditorio si dice: “Che peccato, ha già finito!”

Vittorio Galgano

partner Ottantaventi

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